La radio è un prodotto Made in Italy. Fu l’autodidatta Guglielmo Marconi, alle soglie del Novecento, con l’invenzione del telegrafo senza fili, a segnare per sempre la storia del broadcasting. Il telegrafo senza fili è, senza dubbio, rivoluzione: antenato di radio, televisione e ogni altro mezzo di comunicazione wireless. L’idea portò Marconi al premio Nobel, ma come spesso accade le implicazioni di un’invenzione sono imprevedibili, o no?
«Rivendico a me stesso l’onore di essere stato in radiotelegrafia il primo fascista, il primo a riconoscere l’utilità di riunire in fascio i raggi elettrici, come Mussolini ha riconosciuto per primo in campo politico la necessità di riunire in fascio le energie sane del Paese per la maggiore grandezza d’Italia»
Il contesto storico che in Italia battezzò la diffusione della radio è chiaramente Nero. Già dalla prima guerra mondiale in realtà si era sfruttata la radio, anche se di nuova invenzione, questa già si poteva prefigurare come il mezzo di comunicazione di massa più potente e veloce. Ad ogni modo fu durante il regime fascista che la radio palesò definitivamente la sua essenza di strumento “born to be war”.
Dalla propaganda all’ascolto clandestino delle comunicazioni di paesi nemici o neutrali, tra vita o morte, guerra o pace, la radio aveva cambiato per sempre la realtà mediale. In Italia, terminata la guerra, non tramontò l’utilizzo di questo mezzo, anzi iniziò la golden hour della radio. Nel 1944 nasce la radio monopolio di Stato: Rai – Radio Audizioni Italiane – con le prime tre reti, fonti di informazioni ora imparziale, Nazionale, Secondo e Terzo. Il Nazionale o Primo concentrato sull’informazione politica e sociale, il Secondo puntato su prosa, musica e varietà, mentre il Terzo viene strutturato per essere un canale culturale ma non troppo, un pò come ora.
L’invenzione di Marconi apre le porte anche alla nascita della televisione, sono gli anni Cinquanta ma è ancora presto per dire che Video Killed The Radio Stars. Gli apparecchi televisivi inizialmente erano molto costosi e le ore di trasmissione poche. Radio e televisione riescono anzi, inaspettatamente, a convivere grazie ai diversi genitivi. La televisione diventa sinonimo di casa, focolaio e mezzo specializzato in programmi in cui l’immagine, all’epoca sgranata e pixellata, era importante, mentre la radio rimane sinonimo di musica e dibattiti.
Solo a metà degli anni sessanta gli ascolti della televisione riescono a raggiungere i livelli di quelli radiofonici, ma nel frattempo la radio era già riuscita a reinventarsi. Marconi battezzò il senza filo e la radio lo seguì alla lettera. Autoradio e transistor segnarono una nuova pagina “all’aria aperta” della radio, che divenne il mezzo principe per veicolare il costume popolare, anche giovanile.
«Sai, quelli che non ci voglion bene
È perché non si ricordano
Di esser stati ragazzi giovani
E di aver avuto già la nostra età
Finché vedrai
Sventolar bandiera gialla
Tu saprai che qui si balla
Ed il tempo volerà»
Il testo di Bandiera gialla parla di di gioventù, urla e canti. L’omonimo programma, in onda negli anni 60′ sul Secondo Programma Rai, vedeva scontrarsi a terne le 12 hit recenti o inedite della giornata. La gara veniva decisa dalle preferenze del pubblico, espresse con una bandierina gialla che portava quattro tracce in finale e infine al brano vincitore, il Disco giallo.
La Rai nel frattempo aveva iniziato una relazione aperta con la Corte Costituzionale. In ballo il giudizio di legittimità costituzionale del monopolio di Stato Rai. Le inchieste sulla radiovisione in Italia sono ancora aperte, una pagina di storia che meriterebbe una narrazione a parte. Queste diatribe legali alimentarono le ragioni dei giovani che vedevano la radio come mezzo d’espressione libera.
Proprio nel periodo in cui trasmettere al di fuori del monopolio era considerato ancora illegale e poteva dar luogo a interventi repressivi del Ministero delle Poste o delle Preture, in tutte le aree del paese, naquero le cosiddette radio pirata, meglio conosciute come radio libere. L’ascolto della musica snobbata dalla Rai, i primi centri giovanili occupati, gli Skiantos: la radio è ora ribellione. L’attivismo radiofonico di sinistra scrive una nuova pagina di questo mezzo di comunicazione, da cui scompare il Nero che ne aveva segnato le origini. Radio Onda Rossa a Roma, Radio Onda d’Urto a Brescia, Radio 2000 Blackout a Torino e la stessa RDS – 100% Grandi Successi, sono alcune delle emittenti attive in questi anni.
A Padova nel 1976 nasce Radio Sherwood, in Via Ponte Corvo 1, emittente radiofonica indipendente e ancora. Padova, se è Sherwood, è il grande nervo dei centri sociali di tutto il nord-est, il cui motto, a quasi cinquant’anni dall’esperienza delle radio libere, rimane ancora Indipendent Media for Indipendent Thinking.
L’agitazione degli anni settanta si tramuta nei due decenni successivi in statuto. La radio è ora privata ed è sinonimo di storia. Essere un conduttore radiofonico è una professione a tutti gli effetti e garantisce una carriera legata allo star system. Nessun mezzo di comunicazione si crea, nessun mezzo di comunicazione si distrugge. Dalla radio mania degli anni Venti, la radio ha dimostrato di avere un DNA non predisposto all’estinzione. Neanche la comparsa di Internet e delle nuove tecnologie infatti sembrano essere riuscite a piegare il primo mezzo di comunicazione di massa della storia. Il progresso tecnologico ne ha solo ampliato le possibilità. Siti web, canali tv musicali, app per mobile e smart tv, canali Facebook, Instagram, Twitter. Tutte soluzioni capaci solo di aumentare il volume della voce radiofonica.
Sul suolo Veneto le FM vibrano: Padova, Rubano, Castelfranco, Venezia-Mestre, Treviso, Vicenza sono tutte città Luna Park per chi ama la radio.
I nomi sono noti: Stereocittà, Radio Piter Pan, Stella FM, Radio Canale Italia, Radio WOW, Radio Cafè, Radio Bella e Monella ecc…Tra tutte Radio Company – Made with Love, che lega al suo interno Radio Padova, Radio 80, Easy Network e Radio Valbelluna, imponendosi così come colosso patavino.
La radio è un sempreverde. Una voce radio può diventare una voce televisiva, una voce radio può diventare una voce evento e una voce radio può diventare una voce podcast. Insomma nell’ambito della comunicazione quando si parla di voce si parla di radio.
Abbiamo chiesto a Massimo Cotto, storico speaker di Virgin Radio – Style Rock – e, recentemente, scrittore noir con il libro “Il re della memoria” quale fosse per lui il futuro della radio. Cotto ci ha confidato che è vero, la vecchia radiolina transistor è morta e sepolta ma, come era prevedibile, è anche risorta. Morte, sepoltura, risurrezione è questo il loop a cui questo mezzo alla fine ci ha abituati.
Massimo ci ha confidato come per lui la vera sfida sia riuscire a intercettare i nuovi giovanissimi, la GenZ. Capire le loro passioni e che dispositivi useranno in futuro per ascoltare il flusso, questa è la sfida. Bisogna andargli incontro, giocare un po’ d’anticipo e seguire i tempi, poi il fascino del mezzo dovrebbe riuscire a fare il resto. Almeno questa è la speranza.
Il potere della radio alla fine resta imbattibile. La radio rimane il miglior strumento per imporre dei nuovi talenti. “Cenere” di Lazza è un tormentone, in radio martellerà in radio fino a settembre. Il potere della radio è chiaro, da sola può creare hit, star, speaker ecc.. Tra ripetizione, pianificazione e fatica la bellezza del mezzo rimane l’ampio spazio per l’umanità. Che emozione prova l’artista che si ascolta per la prima volta in radio?