Oggi, 26 ottobre, è la giornata internazionale del folklore e delle tradizioni popolari. Esiste giorno migliore per parlare della nostra amata pizza? Ci è così cara che, secondo una ricerca di Aibi (Associazione italiana bakery ingredients), nel 2021 abbiamo consumato circa 2,7 miliardi di pizze in Italia.
Innanzitutto, c’è da ricordare che, come per ogni piatto che si rispetti, le sue origini non sono certe. Come il conteso tiramisù, anche la storia della pizza conserva ancora qualche incertezza, soprattutto sull’etimologia della parola. Che indicasse non solo la pizza moderna, salata e di base condita con pomodoro, questo è certo: infatti stava a indicare anche preparati dolci. Ma sull’origine della parola, che fosse greca o longobarda, non c’è molta chiarezza.
Quello che è certo, però, è che una delle pizze più conosciute e amate sia nata a Napoli. Le fonti iniziano a parlarne a partire dal diciannovesimo secolo, nelle sue varianti più conosciute all’epoca, che al giorno d’oggi sono conosciute come pizza marinara, margherita e calzone. Sebbene all’epoca avessero ingredienti diversi, come la marinara con acciughe e i capperi, il piatto stava iniziando a essere esportato al di fuori dalla zona, fino al resto del meridione, mentre verrà esportato più al nord solo dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Oggi la pizza napoletana è una STG (Specialità tradizionale Garantita), uno dei tanti piatti della cucina tradizionale italiana riconosciuti dall’Unione Europea, mentre l’arte del pizzaiuolo napoletano è stata dichiarata dall’UNESCO come patrimonio immateriale dell’umanità.
Ma cosa caratterizza una pizza napoletana? Ne abbiamo parlato questa settimana con la proprietaria di alcune pizzerie di Padova, specializzate nella tradizione napoletana, Giorgia Faulisi.
“Noi facciamo solo pizza napoletana, non facciamo pizza integrale o battuta. Il nostro impasto è fatto per la pizza napoletana: se batto il panetto la pizza in forno cresce comunque! In tanti posti propongono mille impasti e magari con lo stesso fanno sia la battuta che la napoletana. Come? Tirano meno la pizza, tengono un po’ di aria sul cornicione e in forno vuoi o non vuoi si gonfia. Quello, però, non esce alveolato come una vera pizza napoletana, esce gonfio perché c’è aria nel cornicione!“
Ci sono, infatti, tutta una serie di regole ben specifiche che bisogna seguire per preparare una vera e propria pizza napoletana. Secondo proprio il sito dell’UNESCO l’arte del pizzaiolo napoletano è divisa in quattro fasi, che coinvolgono la preparazione dell’impasto e la cottura in forno a legna, caratterizzate dal movimento rotatorio della pizza stessa.
“Quando si pensa alla pizza napoletana, si pensa al cornicione alto. In realtà, è un mito da sfatare, perché la pizza napoletana è quella “a ruota di carretto”: si può trovare, ad esempio, “Da Michele” o da “50 Kalò”. Nel tempo poi si è modificata, fino ad arrivare alla pizza napoletana contemporanea”
Alla Mafaldina, quindi, si trova la pizza “a ruota di carro“, una pizza antica e tradizionale della cultura napoletana. Questa deliziosa variante del piatto è caratterizzata da una stesura sottile e poco cornicione, il contrario di quello che forse potrebbe venire in mente quando si parla di pizza tradizionale napoletana. Ci sono però molte altre varianti della pizza: possono essere di forme diverse, come le pizze al metro, alla pala, al taglio e tonda. Variano però molto anche dalla regione in cui si mangiano: la pizza, ormai esportata internazionalmente, è diventata popolare soprattutto negli Stati Uniti, dove ci sono stili di pizze diverse: quella di New York, di Chicago e della California.
E se non vi ha fatto venire l’acquolina in bocca leggere quest’articolo, forse dovremmo riprovarci a breve con un editoriale sul sushi?