Quali sono le ripercussioni sociali e psicologiche di un approccio dicotomico alla questione di genere? Quanto costa alla società e alla politica ammettere che una persona possa poter scegliere – o avvalersi del diritto di non scegliere mai – se identificarsi come uomo o donna?
Queste sono le domande che ci siamo posti a seguito della nostra Padova story su Progetto Tiresia. Nonostante questi ragionamenti si presentino al pubblico come fermi e rigorosi, per alcuni possono suonare come un’inflessibilità ideologica aprioristica.
Facciamo un po’ di chiarezza a livello terminologico.
Sesso biologico e genere non sono termini equivalenti. Per “sesso biologico” s’intende il complesso di carattere anatomici e fisiologici che, negli organismi, contraddistinguono maschi e femmine. Il “genere”, invece, è l’articolazione delle aspettative sociali riguardo a come dovrebbe comportarsi un individuo di sesso maschile o femminile.
Per questa impostazione assolutamente relativa – dal momento che il comportamento di genere non è definito e non è stabilito a priori – lo si arriva a definire una costruzione sociale.
La strutturazione di questo sistema non tocca solo il tema del sesso biologico, al contrario è il frutto dell’interazione tra gli individui, è il prodotto della cultura di appartenenza – con gli usi e i costumi suoi propri – collocata in un dato periodo storico e in una precisa posizione geografica.
Per molti risulta difficile, quasi impossibile, comprenderne la transitorietà e la mutevolezza. Eppure, allo stesso modo della cultura, questi è una produzione umana che dipende dalla “creazione” continua che ogni individuo mette in atto, in primis entro se stesso. Insomma, ciascuno di noi “crea il genere” e lo fa senza pensarci, senza presupposti, senza adeguarsi a qualsivoglia richiesta sociale. Si tratta di qualcosa che cresce insieme – anche se non sempre parallelamente – allo sviluppo della persona.
Ciò che si richiede, al fine della comprensione reale, è l’eliminazione dell’aspettativa sociale sul comportamento, maschile e femminile che sia.
Dunque, per chiarire ulteriormente. Il binarismo di genere è un sistema di classificazione che associa il genere – maschile o femminile – al sesso biologico dell’individuo. Questo significa che, stando a tale classificazione, qualora una persona nasca con i caratteri sessuali maschili, dovrà per forza identificarsi con essi e sentirsi, in tutto e per tutto, un uomo. All’interno di questa categorizzazione non esiste altro che questa divisione, non è data la possibilità che un individuo non rientri in una delle due categorie o che rientri in quella “errata”. Il corpo è lo specchio dell’identità, la biologia regna sovrana.
Nonostante sia ancora in voga – soprattutto a livello giuridico, professionale e medico – il pensiero dualistico, è iniziato da tempo un processo che tanta di metterlo in discussione. Sono sempre di più i giovani e giovanissimi che combattono per il riconoscimento del “non binarismo di genere” come approccio fondamentale al tema.
Per rispondere alle cristallizzazioni “Maschile” e “Femminile”, i non-binary propongono la revisione totale del sistema, aprendo alla possibilità che le persone possano, eventualmente, non sentirsi riconosciute in uno dei due storici “capisaldi” – come sola conseguenza del proprio sesso biologico – ma, piuttosto, decidano di passare dall’uno all’altro o di rifiutarne la dicotomia in toto.
Per chi osserva giudicante questo approccio, il non binarismo di genere appare come un caos senza fine, un continuo brancolamento nel buio nell’attesa che la verità si palesi in un punto fisso e stabile, riconoscibile dalla società come corretto.
Ciò che si pensa è questo: la vita al di fuori dal genere è qualcosa di confuso, non ufficiale, prematuro, momentaneo. Una fase adolescenziale che tende a passare, con la maturità. Perchè esistere in modo sbagliato quando si può farlo nel modo giusto? Ma al di là di giusto o sbagliato, non bisogna dimenticare l’unica opzione fondamentale: accettare l’umano per come esso è realmente. Infinito, diverso, stabile nella sua mutevolezza o mutevole e basta.
Chi non si piega alla pressione organizzatrice della teoria del Gender rifiuta dalla società il pacchetto preconfezionato di abitudini, gestualità, gusti e sensibilità cucite addosso dalla propria biologia. E questo rifiuto può causare non pochi problemi, tra cui il dolore della ricerca di sé all’interno di identità già predefinite sin dalla nascita.
Il tema è complesso e continuerà ad evolvere nel corso del tempo. Requisito fondamentale per riuscire a capirlo è la capacità di aprire il nostro sentire a ciò che magari inizialmente arriva come difficile da comprendere e da accettare.
In sostanza, aprirsi con curiosità a ciò che non si conosce, imparando a capire ciò che ci circonda, in primis il prossimo.