Andrea Favaretto

Più di vent’anni di lavoro nel campo del coaching per arrivare ad avere successo, come dice lui stesso, senza sforzo. Certo, nel caso di Andrea Favaretto, autore di libri, podcast e coach anche in programmi televisivi come “Matrimonio a prima vista”, lo sforzo c’è stato, nel senso di anni di lavoro e impegno. Ora aiuta privati e aziende a orientarsi nella vita e nel mondo, così confusionario che talvolta può farci perdere d’occhio quello che conta davvero per noi.

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“Io sono diventato coach un sacco di capelli fa: ho iniziato quando stava muovendo i primi passi in Italia, nel 1996. Adesso ce ne sono diverse, ma al tempo c’erano sostanzialmente due branchie: coaching tradizionale e coaching basato sulla programmazione neuro-linguistica (PNL)”

“Ci sono diverse declinazioni che sono state date per spiegare le varie specializzazioni. Se uno è specializzato nelle relazioni, cosa che io ho fatto anni fa anche grazie a programmi tv, sicuramente aiuta la gente a capire cosa fa. Personalmente non mi piace darmi degli aggettivi, non sono un business coach o un mental coach. Diciamo che quello che più si avvicina a quello che io faccio è il “life coach”, che non insegna tanto a vivere bene la propria vita ma aiuta le persone a capire come si comportano in diverse situazioni. Poi, sulla base di quello, capiamo che cosa non sta andando bene e come potrebbe andar meglio e facciamo un programma dove, con determinati aggiustamenti, il cliente prende una direzione più allineata a quello che vuole”

“Utilizzo una modalità di coaching che si chiama “Coaching Trasformativo” e questo lo faccio principalmente attraverso dei corsi. Ho un percorso di coaching che insegna anche alle persone a diventare life coach, quindi è anche una scuola. Quella è la cosa che amo di più ed è quella più efficace. E poi tengo anche sessioni private di coaching. Faccio coaching anche in azienda ma non sono formatore aziendale. Ho lavorato per un sacco di aziende in passato e ad un certo punto ho deciso che quando mi capita magari faccio speech per delle convention, che durano una o due ore. Quando devo lavorare in azienda di solito c’è prima un colloquio molto intenso con l’azienda e se ci piacciamo allora si, se no tendenzialmente no”

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Io non sono psicoterapeuta, non sono psicologo e non lo voglio essere. Si parla comunque di sviluppo personale quindi inevitabilmente si studiano dinamiche che attingono alla psicologia, ma con uno scopo differente. Una cosa che dico sempre è: il coach non si occupa di  traumi, non si occupa di problemi o di cose irrisolte del passato. Se durante la nostra chiacchierata mi rendo conto che c’è qualche cosa irrisolta che ti impedisce di vivere il presente nel migliore dei modi e quindi di orientarti al futuro, la prima cosa che faccio è consigliare eventualmente di fare un percorso di psicoterapia parallelo. Da un paio d’anni a questa parte faccio un programma che si chiama “Matrimonio A Prima Vista” su Real Time e nel programma c’è una psicologa e sessuologa, Nada Loffredi, con cui collaboro. Questa distinzione è importante perché altrimenti si parla di abuso di professione e non è ecologico, né per te né soprattutto per il cliente”

“A proposito di programmi televisivi, ho avuto la fortuna di farne un primo nel 2010, se non sbaglio, a Milano. Si chiamava “Mi ha lasciato… cambio vita!”, era un format che andava su Sky condotto dalla Stefanenko. Io sono arrivato all’ultima edizione e sostanzialmente cercavano un esperto in coach che aiutasse le persone a gestire l’abbandono relazionale. Il mio stile gli è piaciuto molto e quindi mi sono stati proposti nel corso degli anni altri programmi, alcuni sono andati e altri no. In uno dei programmi che ho fatto qualche anno fa sono arrivato alle ultime otto puntate, con Belen. Andava in onda su Italia 1 e si chiamava “Come mi vorrei”. All’interno di questa società di produzione lavorava una ragazza che negli anni poi è diventata la proprietaria di “Nonpanic”, la società che è proprietaria di “Matrimonio A Prima Vista”, quindi lei si ricordava di me. Due anni fa c’è stata la sostituzione di uno degli esperti del programma e lei mi ha contattato. Mi ha fatto un provino, è andato bene e quindi da lì siamo partiti. L’esperienza è meravigliosa”

“Ho anche un podcast, si chiama “Questioni di Fava“. Gioco su questo perché ho degli amici toscani, potete immaginare! Durante il periodo del covid, quando non sapevo come passare il tempo, tenevo delle dirette su un gruppo Facebook che avevo. Le chiamavo “Questioni di Fava” perché mi piaceva la canzone di Mina “Questione Di Feeling” e trattavo determinati argomenti. Poi ho notato che i podcast stavano cominciando a prendere piede quindi mi sono messo nella mia stanzetta davanti al microfono, ho scelto un argomento e ne ho parlato”

“La visibilità grossa ce l’hanno i social, quindi io mi curo il profilo Instagram. Tik Tok per esempio l’ha aperto la mia agenzia di marketing, io non ho neanche gli accessi. E loro l’ hanno fatto crescere tanto. Le persone che sono iscritte alla mia newsletter hanno cominciato ad ascoltarlo e sta prendendo, la scorsa settimana abbiamo visto i dati e nello scorso anno è cresciuto del 300%”

“Il podcast risolve un problema enorme soprattutto per il target di persone a cui mi rivolgo, che sono tendenzialmente professionisti. La lamentela dei professionisti è che hanno bisogno di leggere ma non ne hanno il tempo, il podcast risolve questo problema. Il podcast a me egoisticamente dà la possibilità di fare quello che in gergo si chiama “nurturing”, cioè condividere con le persone delle informazioni. Ogni settimana tu hai del contenuto che può essere utile per te, per il tuo lavoro, per la tua vita, e in più ti spiega anche quello che io faccio. Per il mio interesse chi “sposa” questo concetto decide di fare un’esperienza con me, di seguire un mio corso”

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“I miei clienti hanno il primo contatto con mia moglie, tramite il sito o tramite i social. Lei fissa l’appuntamento e fa una prima chiacchierata, durante la quale le persone solitamente chiedono un appuntamento con me. La cosa che spieghiamo è che ogni tipo di appuntamento personale, piuttosto che corso, prevede la frequenza di una giornata di corso, perché così le persone vedono come lavoro e che tipo di coaching faccio. Non diamo per scontato che solo perché mi vedi in televisione o ascolti il podcast io ti piaccia oppure no. Quella giornata mi serve per far fare già un’esperienza. Vedono il mio stile, posso piacere o non piacere a mio rischio. L’investimento è minimo, per una giornata si portano già via del contenuto e poi valutano se effettivamente si può fare. A quel punto si vediamo che cosa è utile per la persona. La preferenza è portare le persone a fare dei corsi perché nessuna sessione personale, per quanto egoisticamente mi dia più soldi, sostituirà mai un percorso strutturato, un percorso di corso aperto al pubblico. Sicuramente anche sulle esigenze delle persone faccio dei coaching in presenza qui. Per chi non può spostarsi perché magari abita lontano o non ha facilità a venire a Padova è un altro format di coaching. Facciamo un percorso di coaching online, che è un appuntamento one to one supportato da un percorso di esercizi che loro ricevono una volta alla settimana. Quindi è una sorta di auto coaching con un supporto di quattro sessioni con me”

Io e mia moglie siamo partiti come colleghi, con due ruoli diversi. Lavoravamo insieme a Roberto Re, lei si occupava della parte commerciale di HRD, io mi occupavo di due o tre filoni e abbiamo iniziato a lavorare insieme. Lei vendeva sostanzialmente i miei corsi, anche se per HRD, e ci siamo subito trovati in sintonia. Ci siamo sempre trovati benissimo, lei capiva molto bene quello che io dicevo e facevo e riusciva a spiegarlo. C’è stata subito questa complicità. Poi dopo qualche anno è capitato che ci siamo innamorati e quindi poi ci siamo fidanzati, sposati, prodotto prole eccetera. Ci siamo sganciati dodici anni fa da HRD, io sono andato via un anno prima e poi lei mi ha seguito e da lì poi abbiamo continuato così”

“Noi siamo l’emblema del “senza sforzo” nel senso che essendo così snelli fortunatamente possiamo decidere noi quando lavorare e con chi lavorare. Abbiamo la fortuna di matchare molto bene insieme nei nostri rispettivi ruoli. Ovvio che capita lo scazzo professionale, ma siamo bravi a non portarlo poi nella vita privata. Fortunatamente quello che noi insegniamo lo mettiamo in atto e quindi conosciamo tutte le dinamiche per insegnare alle persone come non vivere lo stress, come fare in modo che lo stress non prenda altre aree della vita importanti. Le persone sono sensibili a questo”

Il tema del “senza sforzo” è il core di quello che faccio. Ovvio che quando tu in Italia parli di un programma che si chiama “Successo Senza Sforzo”, l’italiano ti prende in giro. C’è diffidenza, lo so e lo spiego anche. Ovviamente se il titolo è di impatto, che sia positivo o negativo, se ne parla. Però il concetto dell’”effortless” il privato comincia anche attraverso il podcast a sentirlo, l’azienda è più difficile. Quando ci ha chiamato Golden Goose, azienda con la quale tutt’ora collaboriamo, ci hanno messo nella loro dream room e lì ci sono tutte le scritte legate all’unicità, al valorizzare la propria unicità. Proprio quello di cui parlo nel libro di “Senza Sforzo”, valorizzare la propria unicità, la propria peculiarità, indipendentemente dall’esterno. Cioè, un match perfetto. Ma è la prima volta che mi capita in una realtà come quella, non stiamo parlando di un’aziendina. Volevano far lavorare le persone sulla valorizzazione della propria unicità, era la prima volta che mi capitava una cosa del genere, soprattutto in Italia. In passato con loro ho fatto anche sessioni in pubblico. Ho fatto un intervento in cui spiego il concetto di “senza sforzo” nel basket, sport che loro amano molto per il loro brand, a cui si ispirano. Mi hanno chiesto di fare uno speech di tre quarti d’ora sul basket chiedendomi se fosse possibile unirlo con la questione dell’unicità. Assolutamente si! Ho fatto una monografia sostanzialmente su Phil Jackson, che è stato l’allenatore di Michael Jordan e di Kobe, parlando di valorizzare la propria unicità. E tutto deve venir fuori senza sforzo, lui parlava di meditazione. Si sono innamorati tutti di quello speech e da lì abbiamo fatto altre due o tre  giornate didattiche di comunicazione. Non ci potevo credere, è meraviglioso perché loro sono apertissimi

“Progetti futuri sì, ci sono. Non abbiamo progetti futuri nuovi, ma vogliamo consolidare quello che abbiamo già iniziato a fare da qualche anno. Sicuramente vogliamo continuare a lavorare con Golden Goose e con realtà simili. Vogliamo ampliare sempre di più quello che già c’è, siamo in procinto di ampliare la diffusione del podcast. Queste sono le due cose più grosse, non abbiamo esigenze di espanderci a livello professionale”

“Qualche anno fa, probabilmente nel 2014, ero andato a fare un corso di specializzazione in Inghilterra e il trainer di riferimento aveva proiettato una slide con degli studi che erano stati condotti sul futuro del coaching. Si tratta di un business di tre miliardi di euro, quindi io credo che il futuro sia roseo. Non so dire per quanto riguarda il mercato italiano. C’è sicuramente una grande offerta e c’è sicuramente anche una buona richiesta perché adesso le persone cominciano a capire che un percorso di coaching è differente da un percorso di psicologia. C’è ancora confusione perché a me a volte chiamano “dottore” o “psicologo”. Mi fa piacere ogni volta che posso spiegarlo. Però io credo che comunque nonostante le intelligenze artificiali, quantomeno ancora per qualche anno, abbiamo ancora del lavoro da fare

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