Sogno e realtà coincidono nella vita di Irene Pila. Una storia di ambizione e coraggio che è capace di donare ispirazione ad un’intera generazione di giovani determinati. Come una fenice, ha saputo fare delle proprie ceneri la base per una sempre nuova se stessa. Una composizione di frutta, una vetrina di Dolce e Gabbana o un una discesa di 40 metri nell’acqua: ogni occasione è l’occasione giusta per essere l’indiscutibile protagonista della propria vita.

“Mi chiamo Irene Pila, ho da poco compiuto 30 anni. Sono nata a Padova e sono cresciuta ad Albignasego. Sono diplomata al liceo linguistico, ma sono uscita molto scontenta dalle superiori. Malgrado avessi scelto questo indirizzo con gioia, sono uscita dalla maturità con un voto che non mi ha soddisfatta. La scuola non mi ha valorizzata come avrei pensato e voluto, quindi appena finita, ho trascorso un anno a lavorare e a fare la stagista in diversi punti di Padova. Quando sono riuscita a racimolare una somma sufficiente, sono partita con il mio ex ragazzo e siamo andati a vivere a Londra. Una città meravigliosa in cui abbiamo vissuto per diversi anni”
“Sono stata una delle prime italiane a trasferirsi e vivere all’estero per lavorare. A differenza di chi si spostava sfruttando le borse di studio, io sono partita con l’intento di lavorare e costruirmi una vita là. Il mio programma era di non ritornare in Italia, volevo lanciarmi a capofitto in una nuova esperienza”
“Ho amato Londra sin da subito: la prima volta in cui ci ho messo piede ho completamente perso la testa. Prima di abitarci stabilmente ci sono stata tre volte, tra cui sfruttando l’esperienza di una vacanza studio organizzata da un’agenzia esterna alla scuola. Amo follemente Londra e, appena posso, ci torno volentieri. L’ho sempre sentita una seconda casa. È una città che offre moltissime opportunità”
“Negli anni la situazione è cambiata: sia a causa della Brexit, sia a causa della grandissima affluenza di italiani è diventato sempre più complesso trovare lavoro. Durante il mio soggiorno le possibilità erano moltissime: mi sono seduta a Starbucks a stillare curricula e, dopo soli quattro giorni, già lavoravo”
“Ho iniziato con lavori estremamente umili: lavoravo in un baracchino che vendeva frutta ricoperta di cioccolato. Il proprietario era un ragazzo di ventitré anni che era riuscito ad aprire quel punto vendita in franchising”
“L’opportunità di poter creare un business era davvero forte. La paga era buona, anche se vivevo in condizioni veramente terrificanti: condividevo il mio appartamento con altre dieci persone e tutti lavoravano in ambiti diversi. Condividevo una piccola camera con il mio ex ragazzo per 200 pounds al mese, una sistemazione un po’ angusta, ma che a noi andava più che bene”
“Dopo i primi sette mesi, dove lavoravo ogni giorno in ogni condizione meteorologica, ho capito che quella non era la mia strada. Dopo aver studiato lingue, mi sentivo assolutamente sottovalutata. Ho ringraziato il manager e me ne sono andata”
“Successivamente ho trovato lavoro nell’ambito fashion, nello specifico nel luxury brand. Ho iniziato come commessa e, nell’arco di poco, sono diventata area manager. Conseguentemente mi hanno offerto una promozione per diventare direttrice dello store. Al tempo avevo solo ventun anni. Nel lavoro ho sempre dato più del cento per cento: sia come fruttivendola, sia nel mondo fashion, dove lavoravo anche più di quanto richiesto e non sempre ricevendo la paga. Mi fermavo oltre l’orario richiesto per piegare le camice e passare l’aspirapolvere: questa cosa è sempre stata molto apprezzata dai dirigenti. Nel momento in cui sarei potuta diventare direttrice dello store, il mio ex ragazzo ha ricevuto un’altra promozione. Abbiamo accettato la sua proposta, di comune accordo. Così ci siamo trasferiti nel Southampton. Ho iniziato a lavorare per la sua stessa azienda, una compagnia marittima di crociere: la Norwegian Cruise Line. Inizialmente facevo la traduttrice, poi mi sono spostata nel reparto vendite. Sono riuscita a diventare una delle top seller del settore. Tutto questo è accaduto nell’arco di soli tre anni: è stato molto intenso”
“Durante il primo anno a Londra ho aperto un blog. In uno dei miei giorni liberi sono andata a Starbucks e mi sono accorta che il mio profilo Instagram era focalizzato solo su Londra, il mio viso non si vedeva mai, c’erano unicamente angoli nascosti della città e suggerimenti su dove andare magiare. Le persone mi chiedevano consigli sul mio viaggio, anche se avevo solo quattrocento followers. Un giorno una ragazza mi si è avvicinata a Portobello riconoscendomi e dichiarandosi come una mia follower su Instagram, dopo un po’ di chiacchiere mi ha consigliato di aprirmi un blog. Aprire un blog mi sembrava un po’ strano e non sapevo di cosa avrei potuto parlare. Ma quel giorno decisi comunque di mettermi in gioco. Con la mia esperienza volevo riuscire a spronare gli italiani che, come me, volevano fare qualcosa di concreto della loro vita, lontani da casa”
“Nel blog volevo spiegare il funzionamento di tutte quelle azioni necessarie che mandano in tilt la maggior parte delle persone: aprire un conto in banca, avere la carta di credito, avere la National Insurance Number, trovare casa e lavoro”
“Nell’arco di un mese e mezzo sono riuscita ad ottenere diecimila followers. Le persone mi trovavano grazie al blog – chiamato “The Diary of a Traveller”, il cui tema era principalmente Londra. Il blog si è evoluto e ho cambiato il nome. È attualmente il mio sito, dove parlo di qualsiasi cosa”
“Non ho mai tenuto un blog di moda. Generalmente usciva un articolo ogni tanto. Ho iniziato a lavorare con la moda solo verso la fine del periodo londinese e all’inizio del periodo milanese. Grazie a tutto il mio impegno con il blog e Instagram, hanno iniziato a chiamarmi come ospite alle sfilate e i brand hanno iniziato a propormi delle collaborazioni. Uno dei primi è stato Asos. Al tempo avevo un engagement veramente altissimo: con diecimila followers le mie foto raggiungevano anche settemila likes, commenti e condivisioni. Tutt’ora moltissime persone che mi scrivono , dicono di seguirmi sin dall’Inghilterra e che ho dato loro la forza, oltre che la spinta, per trasferirsi all’estero”
“Ho visto Instagram in tutte le sue sfumature, sin dalla nascita. Ora è cambiato, adattandosi sempre di più alle esigenze e ai trend del momento. La differenza con TikTok è che quest’ultimo ha veramente a cuore i propri creators. Avendo un profilo brandizzato come “Content Creator”, regolarmente ricevo un questionario da compilare in cui mi viene chiesto quale sia il mio livello di gradimento dei vari aspetti dell’App. Instagram, invece, prende spunto dalle cose che funzionano e le porta nella propria applicazione. Prima l’ha fatto con le Stories – prese da Snapchat – ora con i Reels”
“Nel 2016 ho lasciato il mio ragazzo: stavamo prendendo strade diverse. Ritornata in Italia, ho deciso di prendermi un anno sabbatico, per rivivere la gioventù che sentivo di non aver vissuto. A diciotto anni pagavo già le bollette, facevo le lavatrici e andavo a lavorare in orari improponibili. I miei coetanei andavano in discoteca la sera e tornavano la mattina. Questi erano i due lati della medaglia: ho potuto intraprendere questo tipo di vita solo nell’anno in cui sono ritornata in Italia”
“Inizialmente mi sono sentita davvero a casa: ho rivisto i miei genitori, le mie amiche, andavo a mangiare fuori e in discoteca. Ma sentivo che mi mancava Londra. Se non mi fossi lasciata con il mio ragazzo e non avessi avuto solo ventitré anni, probabilmente sarei rimasta lì. Quando la relazione è terminata mi sono sentita veramente spaesata, non ero nelle condizioni per poter vivere da sola. Nonostante questo, tornare a vivere a casa dei miei genitori non è stato semplice. Avevo ventitré anni e sentivo il bisogno di libertà, di fare qualcosa. Mi sono trasferita a Milano nello stesso anno, con l’intenzione di consegnare moltissimi curricula. Ho preso il treno pensando “vado, consegno i curricula e la sera torno a casa”. Volevo concedermi solo due mesi, se non avesse funzionato sarei ritornata indietro”
“Consegnare i curricula di persona è fondamentale: è l’unico vero modo per farsi notare da un’azienda”
“Fun fact: dopo aver stampato un pacco intero di curricula, la mattina stessa li ho dimenticati in un bar, mentre facevo colazione. Sono uscita sapendo che mi mancava qualcosa. Sono tornata a prenderli e ho iniziato dal Duomo: li ho consegnati in ogni negozio, a zigzag”
“Arrivata a San Babila, c’erano davanti a me due vie: Monte Napoleone e della Spiga. Ho deciso di intraprendere via Della Spiga. Sono passata davanti a Saint-Laurent e Prada. Sono arrivata a metà strada e c’erano Dolce e Gabbana e Tiffany: io avevo un solo curriculum in mano. Ho pensato che da Tiffany l’avrei portato il giorno successivo. Dopo essere entrata e presentata da Dolce e Gabbana, mi hanno chiesto se fossi disponibile sin da subito a lavorare, fortunatamente io ero là proprio per quello. Pochi minuti dopo mi hanno comunicato che la direttrice era intenzionata a farmi il colloquio. La ragazza che mi ha accolto – Chiara – era la Voice store manager. Mi ha cresciuta come una figlia. La direttrice era Jennifer, un’altra persone che ho amato follemente e che mi ha davvero coccolata. Inizialmente non credevo di aver fatto una buona impressione al colloquio, ero molto incerta. Ho terminato, ho preso il treno e sono tornata a casa. Nell’arco delle quarantott’ore successive sono stata ricontatta da Dolce e Gabbana, che mi ha proposto di iniziare due giorni dopo”
“Dopo l’esperienza favolosa e stimolante come quella londinese, quella milanese si è rivelata davvero massacrante. La vita era costosissima ed era impossibile godere di un minimo di privacy e liberà. In tre anni sono cresciuta molto, professionalmente. Ho imparato molte mansioni e mi sono state date grandi responsabilità manageriali, insieme ad una formazione adeguata. Ho comunque continuato a fare la commessa, con lo stipendio di una commessa. Al contrario di Londra, in cui la meritocrazia è tangibile e l’avanzamento di carriera è assicurato, la carriera in Italia è molto statica. La crescita personale non è riconosciuta, né tantomeno si dà valore alla persona. Talvolta mi sono fermata fino a tarda notte in negozio ad allestire le vetrine e il giorno dopo mi presentavo presto in negozio. La mia vita era completamente annullata, ero single da tre anni e tutte le persone che provavo a conoscere mi prendevano in giro o ne approfittavano”
“In quel periodo lavoravo già con Instagram e, soprattutto durante le fashion week ho avuto una vita molto in stile “Il Diavolo veste Prada”: sfilate, eventi, aperitivi. Lavoravo con brand grossi: per un periodo ho svolto il ruolo di Ambassador per Burberry e Yves Saint Laurent Make Up. In quelle situazioni ho rivalutato molto alcune persone che si approfittavano di me per fare i loro interessi. L’azienda per cui lavoravo era molto accanita contro i blogger – cosa che io ai tempi ero. Lavorava con gli influencer che non dovevano espressamente provenire dall’interno dell’azienda. Svolgevo metà dei miei lavori gratuitamente: agli eventi non ero pagata e nemmeno quando promuovevo un articolo di un brand sul mio canale”
“Il periodo delle sfilate e degli eventi è stato, comunque, una favola. Allo stesso tempo, però, quando ritornavo al lavoro mi si prefiguravano molte situazioni difficili. A distanza di tre anni, i campanelli d’allarme sono stati molti: ero diventata magrissima a causa della vita estremamente frenetica che svolgevo. La sera non uscivo quasi mai a cenare, se non con una tisana e qualche Gocciola (un biscotto che oramai mi contraddistingue!). Mi sono accorta di non essere felice: nell’ottobre 2018 ho avuto un attacco di panico con, annesso, un esaurimento nervoso”
“Sono finita in ospedale e mi hanno imbottita di farmaci perché non mi reggevo in piedi. Sono tornata a casa per una settimana e, qui, ho deciso di parlare con mia mamma”
“In questo periodo – dall’ottobre del 2018 al maggio del 2019 – non si è mai data l’occasione che uscissi da lavorare senza piangere. Non mangiavo più, facevo colazione con un Cappuccino e, al massimo, un’insalata a pranzo. Non avevo le forze per rimanere in piedi, non dormivo mai. Anche nei miei giorni liberi non riuscivo ad uscire di casa. Anche mia madre si è accorta che stavo lentamente scivolando nella depressione. Non trovavo vie d’uscita in niente: credo siano stati i mesi peggiori della mia vita. La causa di tutto questo non è stato il lavoro in sé, ma la città: ritmi e persone che non sapevo sostenere. Talvolta sono stata colpevolizzata, dicendomi che fossi io a rifiutare Milano. Ho dato molte possibilità a quella città, ma non mi sono mai sentita parte di essa. È un luogo dove tutto gira intorno al fatturato, non al lato umano delle cose”
“Mia madre è una gran donna. Mi ha sempre supportata ed è stata lei a spronarmi affinché io dirigessi tutte le mie energie su Instagram. Da molti anni avevo quel profilo e funzionava. Questa è stata la spinta affinché io potessi lasciare il lavoro. In qualsiasi caso, ne avrei potuto trovare un altro. Mia madre ha una mentalità molto aperta e le sarò sempre grata per moltissime cose. È stata la mia ancora di salvezza, mi ha strappata da Milano proponendomi di tornare a casa”
“Nell’ottobre 2019 mi sono licenziata. Di lì a poco è scoppiata la pandemia. Sono certa che se fossi rimasta a Milano in quella situazione, in quella casa e con quel lavoro, probabilmente avrei avuto un mental breakdown”
“Poco prima della pandemia sono riuscita a fare qualche viaggio. Sono stata alle Bahamas, ho svolto un Interrail in Austria, sono andata a Copenhagen e il Lapponia per il mio compleanno. Mentre ero in Lapponia è scoppiato il lockdown. Tutti i voli sono stati cancellati, in Italia era tutto bloccato. Mi sono ritrovata in mezzo ad un lago ghiacciato a cercare l’Aurora. Ricordo di aver ricevuto una telefonata di mia madre che mi avvisava di controllare i voli di ritorno. Ho preso un aereo in cui c’erano solo tre passeggeri, il pilota e due hostess. Sono riuscita a tornare a casa, anche se quella è stata un’esperienza che mi ha seriamente traumatizzata. Sono partita da Stoccolma e ho volato fino a Bergamo. Sono arrivata alle 20:30 e ho perso l’autobus a causa della lunghissima burocrazia da svolgere per gli spostamenti durante il Lockdown. Sono giunta in stazione alle 21:05 e, per solo un minuto, ho perso l’ultimo treno per Padova. Rimanere da sola in stazione non è stato piacevole, ero molto spaventata, le uniche persone presenti avevano facce davvero poco raccomandabili”
“Ho chiamato mia madre al telefono – con solo il 20% di carica – purché mi facesse compagnia. Fortunatamente sono una persona piuttosto intelligente e con una grandissima capacità di problem solving: con molta lucidità sono riuscita a trovare tutte le svariate coincidenze tra i treni, cosicché potessi avvicinarmi sempre di più verso casa. Cambiando quattro treni, scendendo a Bologna e tornando verso Peschiera, sono riuscita a tornare in stazione a Verona a mezzanotte e mezza. Sono scesa dal treno veramente provata e ho visto i miei genitori bardati con guanti e mascherine. Questo viaggio di ritorno e tutta la paura che ho provato, nel dover viaggiare di notte, in un paese completamente cambiato dal Covid, mi ha creato un forte shock”
“La settimana dopo sono rimasta nella mia camera. Non volevo mangiare né parlare. Ero ritornata nelle condizioni del periodo di Milano. Mia madre temeva che non avrei più voluto spostarmi. Per fortuna, dopo un po’, sono riuscita a ritornare in me. Durante il lockdown – al di là di alcuni tratti depressivi emersi chiaramente – ho deciso di collaborare con una mia amica fotografa per creare un movimento chiamata My Aesthetic routine. Abbiamo inventato un hashtag e, ogni due giorni, proponevamo un tema su cui strutturare i contenuti. In questo modo tenevamo compagnia ai nostri followers, che erano ottantamila. I temi erano, ovviamente, legati a tutte cose che si potevano trovare in casa. A mezzogiorno rilasciavamo la nostra versione delle foto e, tramite l’hashtag, tutti potevano partecipare e venire ricondivisi”
“In quell’occasione sono crescita di circa cinquemila followers. Abbiamo tenuto compagnia a moltissime persone e le abbiamo stimolate ad inventarsi qualcosa durante il periodo a casa. Era un periodo davvero complesso e duro. Durante il lockdown ho investito i miei pochi soldi per formarmi. Ho seguito corsi di Photoshop, di Marketing Strategist, ho studiato moltissimo. Ho iniziato ad allenarmi e, facendo yoga, ho capito che la strada dello sport faceva per me”
“Finito il periodo del lockdown, ho conosciuto un ragazzo con il qualche ho viaggiato per tre anni. Lui mi ha insegnato a praticare tutti gli sport che amo fare ora. Il problema è che, quando mi sono innamorata di lui, purtroppo si è rilevato essere una persona tossica e la nostra relazione non poteva avere che quel tragico risvolto. Mi sono fatta coraggio e con tutto l’amore che avevo verso me stessa, decisi di chiudere ogni tipo di contatto. Nonostante si trattasse di una relazione insostenibile, ha saputo dar vita ad una parte di me che mi ha permesso di andare avanti“
“A marzo sono rientrata a Padova, stavo malissimo e mia madre, stanca di vedermi in quelle condizioni mi ha consigliato di preparare la valigia e andare a Fuerteventura con un van. Ho preso un volo da nove euro di sola andata. L’ultimo giorno sull’isola, prima di partire per Lanzarote, mi ha scritto un ragazzo chiedendomi di bere un caffè insieme. Questo incontro è stato voluto dal destino, perché ora lui è diventato il mio attuale fidanzato! Mi aveva contattata dopo aver visto un video di surf che avevo caricato per l’agenzia con cui lavoravo. Ha cercato il mio profilo e si è fatto avanti”
“La vita ha bisogno di essere vissuta ogni giorno, bisogna farsi avanti e cogliere tutte le occasioni e accettare le diverse sfide. Tutto ciò che può sembrare insuperabile è una guida verso la felicità. Ora ho una relazione con una persona meravigliosa e un lavoro che va alla grande: creo contenuti e faccio advertising per hotel e strutture sportive. Gli unici mesi in cui il lavoro cala è durante i mesi di luglio e agosto, com’è normale che sia. In questi mesi mi rilasso, ma preferisco rimanere sempre in movimento”
“Con i miei followers ho un rapporto bellissimo, perché non li reputo meramente followers. Ci sono persone che mi seguono da decenni e conoscono da tutta la vita. Mi hanno vista nei periodi neri e nei periodi felici, mi hanno vista fare la vamp alle sfilate e, allo stesso modo, rompermi la faccia sullo skateboard. Chi mi ha seguito in tutte le mie avventure e nella mia evoluzione personale, mi sente come una amica alla quale è difficile non affezionarsi”
“Quando i miei followers mi incontrano per strada non mi chiedono la foto, al contrario: ci beviamo un caffè, usciamo insieme e andiamo a fare qualcosa. Sono a favore della condivisione, non di foto o video, ma del condividere esperienze”
“Ho dei rapporti incredibili con delle persone conosciute sui social, con cui mi rapporto quotidianamente. Mi arrivano messaggi chilometrici con confessioni e confidenze e io, ovviamente, cerco di rispondere a tutti. Gli haters sono veramente pochissimi, forse un 1% per cento dei miei followers. Voglio molto bene alla mia community, mi supportano e mi aiutano. Ne sono veramente grata. Nel mio piccolo cerco sempre di sdebitarmi. A Milano, due amiche mi hanno scritto che sarebbero passate per la città in giornata. Una delle due mi seguiva da molto e mi apprezzava moltissimo: mi hanno chiesto di presentarmi in stazione per in saluto e sono stata felicissima di farlo. Un’altra volta, ho fatto una sorpresa ad una mia followers al San Michele Sud Experience – una pasticceria dove vado sempre e di cui adoro i proprietari, Giorgio e la sua famiglia. In quell’occasione ho fatto il possibile per incontrare la ragazza che mi seguiva da moltissimo tempo, nonostante avessi il piede fratturato. Compiva gli anni, così ho deciso di presentarmi al San Michele con un bouquet di fiori. È stata contentissima della sorpresa, non se l’aspettava proprio!“
“Sono piccole attenzioni, ma sono importanti. Mi rendo conto che con i social è molto più facile diffondere odio e cattiverie, ed è molto frequente che i creators perdano il senso della realtà”
“Spesso mi sono state proposte collaborazioni con diverse agenzie, ma ho sempre preferito continuare a lavorare da sola come freelance. Ho evitato queste collaborazione per evitare di accettare lavori che fossero in contrasto con la mia etica. Sicuramente questa cosa mi penalizza molto, ma preferisco mantenere forte la mia etica, la mia impostazione personale e lavorativa, piuttosto che svendermi per avere un maggior guadagno”
“Ho iniziato a fare apnea in seguito all’insorgenza degli attacchi di panico, nati a seguito dello stress milanese. Ho iniziato ad informarmi durante il lockdown circa i metodi per curare l’ansia e, da qualche parte, avevo letto un articolo in cui si parlava dell’apnea come qualcosa di simile – se non migliore – della meditazione”
“Nel marzo 2021 mi trovavo a Tenerife. Là c’era una sola scuola di apnea gestita da Pellizzari. Ho provato a contattarli chiedendo loro se fossero interessati ad una collaborazione e loro hanno accettato. Dopo due giorni sono andata in mezzo all’oceano durante una tempesta tropicale. Vedevo nero sopra e sotto di me. Ero spaventata, ma è successa una cosa magica: non mi aspettavo nulla da me stessa e l’istruttore, alla prima discesa, pensava che avrei percorso pochi metri. Sono scesa per dodici metri. Quel giorno mi dissero che avrei dovuto coltivare quel talento, che si trattava di qualcosa di molto raro. Un rapporto così immediato con l’acqua è qualcosa di molto inusuale”
“Ho conosciuto la Y-40 attraverso Instagram. Ho deciso di contattarli per approfondire il mondo dell’apnea. Dopo quel primo approccio è nato un vero rapporto di amicizia. Ora ci lavoro stabilmente”
“Lo sport che non ho ancora mai praticato è lo skydiving. Lo vorrei fare da moltissimo e lo farò prossimamente in uno dei miei viaggi. Mi terrorizza, ma l’adrenalina mi è sempre piaciuta”
“Dire cosa mi aspetto dal futuro è molto difficile, non so nemmeno che cosa farò questa sera! La mia vita è imprevedibile. Ho abbandonato la prevedibilità quando ho deciso di lasciare il lavoro da Dolce e Gabbana. Mi piace il brivido di non sapere, cosa faccio e chi conosco. Conoscere storie incredibili e persone straordinarie non succede mentre si è in ufficio. Ringrazio mia madre per avermi fatto aprire gli occhi e avermi sradicata da un lavoro che mi avrebbe mangiata viva e resa infelice”
