Marco Maria Zanin è un artista padovano classe 1983. Fotografia e scultura si alternano nella sua arte con richiami ed evocazioni alla scena rurale. Tramite la reinterpretazione di oggetti antichi e artigianali, Zanin conduce chi osserva in un viaggio nel tempo e nella cultura popolare, in un gioco tra presente e passato, tra storia e arte, attraverso il loro valore antropologico.

“Mi chiamo Marco Maria Zanin e sono nato a Padova. Mi sono laureato in Lettere Moderne e in Relazioni Internazionali presso l’Università della mia città. Anziché puntare su una magistrale, ho deciso di intraprendere due lauree differenti, una un po’ più legata al mondo delle idee e un’altra invece che fosse più legata a questioni pratiche, alla possibilità di creare un impatto nella comunità anche tramite l’arte”
“Dopo aver fatto un Erasmus a Madrid, ho intrapreso la mia carriera nell’arte che è uno strumento davvero potente per creare una nuova visione tale da poter generare un impatto positivo nella comunità. L’arte può essere un contributo in grado di veicolare le coscienze verso un pensiero nuovo e diverso”
“Dopo aver vinto una residenza artistica a San Paolo, mi sono trasferito in Brasile. Avevo già un legame con questo Paese in quanto una parte della mia famiglia risiede in Brasile ormai da generazioni. Fanno parte di quel ramo famigliare che nel ‘900 si è spostato dal Veneto verso i Paesi del centro-sud America. Ero shockato da San Paolo: la città era talmente vibrante e caotica rispetto a Padova, il posto in cui sono cresciuto, che ne sono rimasto profondamente affascinato”
“Così mi sono innamorato del Brasile, di San Paolo e della sua comunità artistica. Volevo riuscire a rompere un po’ il legame con le radici e con la storia che fa parte della nostra cultura, volevo mettere insieme questi due mondi, provando a creare qualcosa di nuovo”
“Ho sempre avuto una sorta di chiodo fisso, ovvero la domanda eterna che ogni artista si porta dentro e a cui cerca di dare una risposta: come possiamo oggi rileggere oggi il mondo delle nostre radici, soprattutto quello della terra, che è il luogo da cui vengono entrambi i miei nonni? Come possiamo rileggere questa cosa in maniera fertile e potente con un occhio verso il futuro e che richiami anche il mondo contemporaneo?”
“La mia passione verso l’arte trova il suo primo sbocco naturale con la fotografia. Ho iniziato nel 2010 un po’ spinto dagli amici che volevano che organizzassi una mia mostra. Evento che mi ha dato l’input di continuare questo mestiere. Così ho cominciato a lavorare attorno alla terra e alle sue radici, girando attorno a Padova, soprattutto nella campagna della bassa padovana, a fotografare le case rurali e i ruderi avvolti nella nebbia e divorati dalla vegetazione. Cercavo, tramite i miei scatti, di tirare fuori una loro anima. Il progetto ha il titolo di “Cattedrali Rurali”. Già nel suo nome, questo progetto ha una componente che che ancora oggi mi porto dietro: sacralizzare gli elementi legati alla terra e alle radici”
“Nel corso degli anni la mia arte si è evoluta, diventando più raffinata, anche attraverso uno sviluppo del mio linguaggio personale. Nella mia foto intitolata le “Sette Lune” (modalità dei contadini di chiamare al tempo il mese di Settembre), estremamente rappresentativa di quello che faccio, i protagonisti sono tre aratri antichi. Li ho riportati in un campo e li ho rimpiantati capovolti, facendoli diventare quasi dei totem, una sorta di oggetti che rappresentano una divinità, il mondo della terra che riemerge con una forza totemica, tribale e quasi spirituale. Gli aratri sono conservati nel Museo del Paesaggio di Torre di Mosto vicino a Caorle, dove ho realizzato una residenza artistica. Faccio parte infatti di una associazione chiamata Humus Interdisciplinary con la quale organizziamo delle residenze artistiche e nelle quali invitiamo altri artisti a sviluppare questa rilettura del mondo legata alle radici e alla terra”

“Un altro filone della mia ricerca, che ho iniziato in Brasile e che sto portando avanti grazie al dottorato di ricerca in Antropologia che sto svolgendo a Lisbona – crocevia tra l’Europa, Brasile e Africa – è quello dell’Interculturalità. Capire dentro la matrice di questo rapporto con la terra quale tipo di somiglianza e differenza ci sono nelle varie culture del mondo. Lo faccio anche attraverso la fotografia, ad esempio nella foto “Maschera I”, dove la maschera è in realtà uno sgabello per mungere le mucche, proveniente sempre dal Museo del Paesaggio di Torre di Mosto. Nasce, quindi, una sorta di contrapposizione tra il mondo della terra tribale e rituale di altre culture”
“Questa è una maschera (vedi foto qui sopra) prodotta da un artigiano che ho conosciuto per caso nel nord del Portogallo, mentre cercavo dall’artigianato locale. Lui scolpisce delle maschere nel suo garage, che hanno anche un interesse antropologico, riprende infatti la tradizione della maschera portoghese “Caretos” deviandola, ispirandosi a dei disegni infantili dei suoi nipoti. Nella sua grande estrosità crea questo genere di maschere ibride tra tradizione e spontaneità. Sia il mondo legato alla terra che quello legato alle pratiche del fare, alla materia, al legno sono elementi che cerco di valorizzare e di portare all’interno del contesto dell’arte contemporanea. Cerco di incentrare e di portare attenzione verso tutte queste pratiche che sono marginali e sotterranee”
“Mi sono affacciato alla fotografia con Luigi Ghirri, con la scuola di fotografia del Viaggio in Italia, ma poi mi sono staccato per creare un mio percorso basato sulla scultura. Ed è lì che mi sono avvicinato a Brancusi, uno scultore modernista, considerato uno dei più importanti e influenti scultori del XX° secolo. Brancusi fotografò moltissime delle sue sculture, creando una documentazione chiara e precisa del proprio lavoro”
“Nelle mie fotografie utilizzo il bianco e nero perché mi riportano al silenzio e all’essenzialità. La mia fotografia è molto silenziosa, un po’ dura, ma anche poetica, mi dà la dimensione del silenzio e della pace, mentre il colore è come se la rendesse rumorosa e caotica. La fotografia per me è la documentazione di un gesto, la conclusione di un processo: è un atto performativo”

“Per le mie fotografie molto spesso adopero il banco ottico. Il banco ottico è una speciale fotocamera professionale dotata di funzioni particolari che le fotocamere portatili non presentano. Utilizzo questo strumento perché è faticoso, costituisce uno sforzo che mi obbliga a pensare molto bene a quello che sto andando a fare. Inizia tutto da un’idea e da uno studio antropologico che conducono ad un processo di ricerca. La fotografia è la parte finale di tutto un processo logico che c’è dietro”
“Nel processo digitale, a differenza di quello analogico del banco ottico, manca la matericità che si ha quando si può toccare il negativo della pellicola”
“Io disegno le mie sculture, che vengono poi prodotte da una ragazza di Padova. Non usiamo tinte o smalti. Prendo spunto da delle zappe, che riconducono sempre al mondo della terra, che poi ridisegno facendole diventare un vaso. La zappa subisce una sorta di inversione, dalla sua funzione di tagliare e smuovere la terra, diventa qualcosa che accoglie e contiene la materia. Questo rapporto con la terra diventa qualcosa di sacro, il vaso richiama al grembo materno, che si prende cura di ciò che ha dentro. Il vaso è da sempre una produzione dalla comunità umana, con una valenza cerimoniale, poiché all’interno potevano essere inserite delle offerte. La zappa diventa così un oggetto antropomorfo”
“Padova è un contesto difficile dove manca l’arte contemporanea, oppure è presente in maniera marginale. Non c’è il contemporaneo come pensiero, come modo di produzione e fruizione, ed è una grave lacuna, che sto cercando di sanare con il mio contributo. Il fatto di stare qui, anche se complesso, lo sto vivendo come un’opportunità e sfida per riuscire a dare un contributo alla città: utilizzando la mia casa/studio come uno spazio di condivisione, incontro e divulgazione di quello che faccio con altri artisti italiani e stranieri”
“A Padova siamo in pochi ad essere sulla scena internazionale. Ad Aprile è partito un progetto di nome Fulcro, in cui organizzo dei percorsi di accompagnamento alla pratica artistica, che sono sostanzialmente dei gruppi di persone con le quali si percorrono diverse tappe: dalla ricerca fino alle questioni più formali, ovvero come produrre un’idea e come questa possa essere divulgata nel mondo. In sostanza con Fulcro l’obiettivo è coltivare la comunità artistica e creativa attraverso questi percorsi di accompagnamento”
“Fulcro aiuta chi non conosce le dinamiche artistiche, che sono molto spesso incerte. La residenza artistica aiuta l’artista stimolandolo e mettendolo in contatto con curatori e altre figure del settore. La residenza artistica – intesa come strumento di incentivo e supporto alle produzioni artistiche e per la promozione e il supporto alla creatività di artisti e gruppi emergenti – è uno spazio di creazione artistica che opera in uno stretto legame con la comunità di riferimento. La proposta creativa è improntata principalmente sul supportare e stimolare i processi creativi attraverso l’incontro con artisti contemporanei e ricercatori; un ambiente ricco di storia che incentiva la concentrazione, la consapevolezza, la crescita personale ed artistica oltre che il reciproco arricchimento artistico e culturale”
“Una ventata d’aria fresca arriverà a Padova con la FONDAZIONE ALBERTO PERUZZO che aprirà dopo l’estate in via Dante nella Chiesa di Sant’Agnese. Sarà una nuova sede espositiva che fornirà un fortissimo contributo a Padova per quanto riguarda l’arte contemporanea”
“Sotto la Specola è nato da poco NP ARTLAB, una sorta di spazio per l’arte contemporanea che ha aperto in un contesto bellissimo: un’ ex laccatura situata sotto la torre. E’ progetto dedicato alla ricerca e alla promozione di pratiche d’arte visiva contemporanea e mira al sostegno e alla valorizzazione di artisti emergenti, mid-career e storicizzati”
“Ho un progetto ambizioso per il quale ci vorrà sicuramente più tempo: la creazione di un distretto dell’arte e dell’artigianato. Uno spazio in cui inserire dieci studi di artista e dieci studi di artigiani, i quali si ritroverebbero a lavorare insieme. Intanto mi sto focalizzando a creare una squadra, tavoli di lavoro e una strategia a lungo termine. Voglio creare uno spazio innovativo”
“Il contributo dell’arte contemporanea in città è fondamentale. Ci sono una serie di riflessioni che partono da studi, dalla letteratura e anche da un ramo dell’antropologia collegata all’arte, che spiega come quest’ultima sia uno strumento potentissimo e come possa riconfigurare il modo in cui facciamo e vediamo le cose. E’ la base di tutto, dobbiamo capire e accettare che le scelte che facciamo, le traiettorie che percorriamo, sono fatte di un sentire e di una visione costituita non solo da elementi misurabili, ma anche da elementi in cui l’arte indaga e si muove negli spazi”
“Eclatante è come oggi ci sia una presa di spazio dell’artista nelle aziende, cosa che accade da pochi anni. L’artista può dare il suo contributo nei luoghi di produzione, questo perché c’è un risvolto pratico di quello che è l’aspetto artistico. L’arte non può essere relegata solo ai musei, gallerie, fondazioni, ma è qualcosa che deve entrare anche in altri spazi”
“Néstor Garcia Canclini, antropologo argentino, scrive del “movimento dell’arte fuori di sé”, ovvero come l’arte stia uscendo dalla sua bolla per andare a prendere degli spazi di altri contesti, per poter collaborare con altre realtà e per costruire una comunità. Questa cosa è fondamentale, perché il mondo è cambiato radicalmente e più velocemente di quanto fossimo preparati. Questo aspetto legato alla metabolizzazione, alla comprensione al disegno di un futuro consapevole, l’arte è uno strumento imprescindibile”
“Noi artisti dobbiamo dare questo impulso verso l’esterno per farci ascoltare da persone che fanno tutt’altro: imprese, società, politica. C’è bisogno che questi mondi inizino a creare un’ interazione, in cui l’arte faccia da ponte. Per farlo bisogna potersi mettere gioco”