“Il posto più bello del mondo è il ring: sai quello che ti può capitare”. Passione e razionalità si sposano perfettamente nell’animo coriaceo di Silvia Bortot: pugile e donna, graphic designer e allenatrice. Una figura di riferimento per chi desidera scoprire se stesso attraverso lo sport, per chi aspira ad una vita intessuta di desiderio e ambizione.

“Mi chiamo Silvia Bortot, ho trentasette anni e sono una pugile. In realtà sarei una designer, ma da un paio di anni ho invertito i ruoli dei miei lavori: svolgo la grafica nel tempo libero e come professione mi dedico al pugilato. Sono sempre riuscita a trovare una collaborazione omogenea tra i due mondi, dal momento che sono fondamentali l’uno per l’altro”
“Sono stata una sportiva sin da piccola: ho iniziato giocando a basket, poi a pallavolo e successivamente a tennis a livello agonistico, fino ai 16 anni. A causa di una delusione in una finale ho deciso di interrompere, anche se nel frattempo continuavo a nutrire una grandissima passione per gli sport da combattimento e arti marziali. Già in tenera età li avevo presi in considerazione, praticando karate shotokan. Il karate mi ha dato un’infarinatura iniziale e mi ha formata: ero innamorata di Bruce Lee, Van Damme ecc…”
“Al primo anno di università mi sono ritrovata ad essere un po’ “in carne”. Per la verità, lo sono sempre stata, ma da piccola me lo facevano notare meno. Una volta cresciuta il confronto con le mie amiche mi ha portata a voler riprendere lo sport per tornare in forma. Ho iniziato kickboxing. Il maestro ha notato in me qualcosa in più e mi ha proposto di partecipare a qualche gara: ho accettato e da quel momento è iniziato tutto”
“Praticavo la kick-boxing, perché la boxe per noi donne è comparsa più tardi. È stata permessa legalmente nell’aprile del 2001: fino a quel momento al genere femminile non era permesso praticare la boxe, per questo motivo tutte si avvicinavano alla kick-boxing. Ricordo che, appena entrata in una palestra di boxe, il mio vecchio maestro non guardava le donne e – addirittura – le allontanava, non le prendeva in considerazione. Mi sentivo sempre in dovere di dimostrare qualcosa in più in quanto donna”
“Per i primi anni è stata molto dura: questo è uno sport difficile in cui ti colpiscono in faccia e ti devi abituare a restituire il colpo. Essere donna significa doversi far accettare in questo mondo e far vedere che anche tu puoi picchiare forte, esattamente come i ragazzi. Una volta superato lo scoglio iniziale, non ho più avuto problemi. In tutte le palestre sono sempre stata ben voluta e sono sempre stata una persona estremamente determinata: anche se il maestro mi diceva di andare a casa io restavo lì”
“La mia determinazione mi ha aiutata molto nel lavoro di designer, mi ha insegnato a lavorare duramente per rispettare le consegne. La stessa cosa accade quando devo fare otto o dieci round sul ring: non ci sono scuse, vanno fatti! Le due cose si sono conciliate”
“Volevo studiare Design industriale ma, al tempo, era molto complesso entrare allo IUAV a Treviso. Era una delle prime Università a proporre quel tipo di percorso ed era a numero chiuso, con solo 60 posti. Purtroppo, non essendo riuscita a passare il test, ho studiato Comunicazione per un anno a Trieste, una decisione che ho preso per non rimanere ferma: sapevo perfettamente che quel percorso universitario non era la mia strada. L’anno successivo ho riprovato ad entrare allo IUAV e ci sono riuscita, così finalmente ho iniziato a studiare tra Venezia e Treviso”
“Sono trevigiana, ma ho vissuto sempre a Mestre e tanti anni fa sono arrivata a Padova per allenarmi alla Padova Ring. Massimiliano Sarti, il mio maestro, ci teneva che io combattessi per la sua società, ha fatto di tutto affinché io arrivassi qui”
“Con lo scorrere degli anni ho cambiato lavoro, finendo a fare la grafica presso un’azienda di Verona. Anche lo sport ha seguito la città nella quale lavoravo e, da Padova, ho spostato tutti i miei allenamenti a Verona. Recentemente sono ritornata di nuovo qui a Padova e ora appartengo alla fascia dei professionisti”
“Ora, dopo aver investito il mio tempo per molti anni come solo atleta di pugilato, lo insegno: è una variazione che mi rende molto felice, anche se fino a poco tempo fa sembrava impossibile che una ragazza potesse insegnare boxe anche agli uomini. Non voglio peccare di presunzione, ma credo di aver – in qualche modo – contribuito a questo cambiamento nella storia della boxe, anche se spero sia solo l’inizio. Spero che cambiamenti del genere avvengano non solo in questo sport, ma in tutti”
“Come trainer riscontro molte difficoltà tra chi si approccia a questi sport, anche a livello fisico. Per esempio, una ragazza che ha un fisico esile può fare più fatica a tenere i colpitori a un uomo, ma se è ben strutturata non avrà problemi”
“Questo sport ti toglie tutto e, allo stesso tempo, ti restituisce anche di più. Dona delle emozioni che difficilmente trovi altrove. Ti fa raggiungere obiettivi da sola. Il fatto di spingersi oltre i propri limiti porta delle soddisfazioni personali assolutamente impagabili. Ti fa percepire il dolore, non dei colpi ricevuti, ma del tuo corpo che è spinto oltre le proprie capacità. Mi fa sentire viva: ogni volta che credo di no farcela, riesco a dimostrare a me stessa che posso fare anche di più. Non smetto mai di stupirmi. Se riguardo indietro e rivedo gli anni passati, il pensiero di aver iniziato solo per perdere un po’ di peso mi stupisce. Guarda dove sono arrivata!”
“Gli allenatori sicuramente mi hanno aiutata, anche se alla fine ognuno fa i conti con se stesso ed è responsabile dei propri sforzi e dei propri sacrifici. Anche incastrare gli allenamenti con il lavoro non è facile, soprattutto ora che insegno. In Italia è difficile essere solo un atleta, soprattutto in uno sport del genere. Nonostante tutto, sono felice. Sono appagata quando vedo che le persone che alleno sono felici e si stupiscono del proprio percorso”
“La boxe è uno sport per tutte le età: chiunque si può allenare e farlo a livello base, senza dover competere sul ring. Ognuno può allenarsi come un pugile, con i propri ritmi. Svolgo tutt’ora il ruolo di formatrice per una serie di progetti, in passato sono stata partecipe di un progetto che coinvolgeva donne malate di tumore. In un momento estremamente difficile della loro vita hanno deciso di avvicinarsi al mondo della boxe. Le ho guidate insieme ad un team di psicoterapeuti. Dopo tre mesi di lavoro insieme, le ho viste rinascere. Sono le mie più grandi fans!”
“Anche chi ha disturbi alimentari può trovare un alleato in questo sport: io, in primis, sono stata portavoce di questi temi. Lo stesso vale per chi ha tossicodipendenze ecc. La boxe è una terapia che risveglia qualcosa dentro le persone: forse per il fatto di poter scaricare i nervi attraverso i pugni, o forse perché tutto il corpo viene risvegliato in un movimento completo che interessa ogni parte del fisico. È una sorta di danza, un movimento che scatena energia: un movimento che inizia bene dai piedi, ti investe e coinvolge completamente”
“La fluidità è importante. La maggior parte delle persone non ha la consapevolezza del proprio corpo mentre, per svolgere questo sport, è necessario essere pienamente consapevoli di chi si è e dove ci si trova. Queste sensazioni ci portano ad essere sicuri di noi stessi, a crescere come esseri umani. La boxe mi ha dato anche uno stile di vita, dei punti fermi da rispettare, mi ha insegnato a vivere: se alcune cose mi sono mancate dall’infanzia, le ho ritrovate nella boxe”
“Allo stesso tempo toglie tanto: con le gare e le competizioni il tempo libero è quasi inesistente. Il tempo per le amicizie è poco, l’alimentazione segue una linea assai ferrea e, allo stesso modo, anche i ritmi di veglia-sonno sono ardui. È necessario essere sempre focalizzati e difficile concedersi altri svaghi. Ci sono tanti sacrifici da fare, ma li faccio volentieri perché mi rendono felice”
“I miei idoli nel mondo del pugilato sono diversi. Nel mondo femminile Cecilia Brækhus, la chiamano “La Venere nera” e, andando al di là del suo carisma di first lady, quando combatte ha delle tecniche bellissime. A livello maschile rivolgo lo sguardo al passato: non potrò mai dimenticare quando ho visto Tyson, Sugar Ray ecc. Tyson è l’emblema del disagio, la sua figura rispecchia in grand parte questa realtà. Avvicinarsi a questo sport significa esprimere un disagio, una scissione, una mancanza. Ho perso mio padre quand’ero piccola ed ero arrabbiata con il mondo: così mi sfogavo in palestra. C’è chi fugge da situazioni difficili, da genitori separati o da situazioni simili alla mia. Al momento non so quale sia la situazione tra i giovani, ma se osserviamo la storia di tutti i grandi pugili, possiamo vedere che tutti provengono da situazioni complesse”
“Ci sono persone con cui non ho ancora combattuto e con cui vorrei farlo, in primis Cecilia Brækhus. Essendo stata la figura che più mi ha illuminato la strada del professionismo, sarebbe bello incontrarla in qualche modo. Quello che mi ha insegnato la boxe è che tutto è possibile. Forse succederà!”
“Prima di ogni incontro segui i miei riti: mi faccio fare le treccine, solitamente da una signora senegalese di Padova, e metto sempre i calzini di Tupac Shakur sotto gli stivaletti. Lui è il mio Black Jesus. Come lui ho il tatuaggio “thug life”
“I miei punti di forza credo siano la costanza, la determinazione e la perseveranza. Credo che queste caratteristiche siano molto più importanti del talento: posso non avere un talento eclatante, ma con la mia determinazione sono riuscita ad andare oltre il talento stesso. Sono testarda e, se mi prefisso una cosa – cascasse il mondo – ci arrivo. Sono un Capricorno!”
“Prima di un match, che sia il primo o il centesimo, hai sempre la tensione che ti accompagna: inizia settimane prima e finisce solo nel momento in cui sali sul ring. Ogni volta ti chiedi cosa potrà mai succederti. Poi, però, pensi che anche la tua avversaria probabilmente sta pensando quelle stesse cose ed ha paura esattamente come te”
“Negli ultimi anni ho seguito un grandissimo percorso con un Mental Coach e con psicologi: ora so gestire meglio quest’ansia, grazie a tutti gli insegnamenti che mi hanno trasmesso”
“Durante il match, quando sali e scavalchi la corda, la fiamma che hai dentro divampa. Credo che quello sia l’apice dell’emotività generale. Quando scatta il gong rompi il ghiaccio e cominci a dominare la fiamma. Durante il match si provano tante emozioni. Tutto, poi, è decretato dall’andamento del match”
“Ci sono stati momenti molto difficili durante la mia carriera. Il primo l’ho vissuto al mondiale in Belgio. Ero in casa della mia avversaria ed è stato molto difficile: al sesto round, per la prima volta, ho davvero avuto paura di morire. Ho ricevuto dei pugni molto forti uno dopo l’altro. Pensavo che sarebbe intervenuto l’arbitro o il maestro per interrompere il match, invece no. Non sapevo più dove mi trovavo, volevo solo buttarmi per terra. Non so cosa sia successo dopo, se sia stata la mia forza di volontà o il pensiero di volerne comunque uscire a testa alta: mi sono ripresa e ho finito il round. È stata un’esperienza davvero fortissima, quel match mi ha dato la forza per affrontare tutto. Non avevo mai provato sensazioni così brutte, mi ha segnata pesantemente. Allo stesso tempo stesso mi ha dato una marcia in più. Sono arrivata al mio limite e sono riuscita a sorpassarlo”
“Il pugile si forma nel tempo, non di sicuro una settimana prima del match. Si tratta di un lavoro lento, che va costruito mattone dopo mattone. Credo che tutte le esperienze che ho vissuto siano riuscite a forgiare il mio carattere e la mia professionalità. Dopo tutto quello che ho vissuto, mi sento forte. Nel pugilato nulla è costruito in maniera impulsiva, sono gesti ripetitivi provati e riprovati per giorni, mesi e anni. Ogni movimento – anche il più semplice – è stato ripetuto e perfezionato moltissime volte, prima di essere fluido. Tutto quello che si vede sul ring è frutto di moltissimo allenamento e duro lavoro”
“Una rissa in strada può essere impulsiva, la boxe no. Questo sport non è assimilabile alla violenza. Lo paragonerei, piuttosto, ad una partita a scacchi. L’intelligenza è l’ingrediente fondamentale: puoi essere appassionato, puoi avere il fisico giusto, ma se ti manca la concentrazione e la lucidità non vai da nessuna parte”
“Spesso dico ai miei atleti di lasciare la propria rabbia da parte, prima di salire sul ring. Potrebbe essere proprio quella a distruggerli. Bisogna saperla incanalare altrove. Sul ring bisogna essere abbastanza lucidi per studiare il proprio avversario”
“Tecnica e tattica esistono contemporaneamente e sono fondamentali l’uno per l’altra, non si improvvisa nulla”
“Puoi venire qui per sfogare la tua rabbia attraverso i pugni, ma il concetto alla base della boxe è molto più complesso. Sul ring devi gestire i tuoi movimenti, le tue emozioni, la tua testa il tuo respiro, il maestro che ti parla, le persone e le luci sopra di te che ti abbagliano. In più, hai l’avversaria che cerca di mettere a segno i colpi sul tuo corpo. La mentalità da pugile è quella che sa gestire tutte queste cose insieme. È un lavoro complesso”
“Dopo essere stata la prima donna italiana a vincere l’EBU nella mia categoria – ovvero il titolo europeo, in Francia – l’anno successivo ho difeso il mio titolo a Verona dove mi hanno sottoposta al test di antidoping come di consuetudine. Sono sempre molto tranquilla quando eseguo questi test: sono seguita da un nutrizionista e da professionisti, non assumo nulla che non sia approvato da loro”
“Mi hanno contattata per farmi sapere che nelle mie urine era stata trovata una traccia di una sostanza dopante, chiamata Igenamina. Si tratta di un brucia grassi, illegale dal 2017. Sicura che fossero sbagliate, ho deciso di sottopormi alle contro-analisi a Roma. Purtroppo la sostanza è stata ritrovata anche nel secondo campione. Ad oggi ancora non riesco a spiegarmi come io possa averla assunta”
“Mi è stato chiesto se volessi far analizzare tutti i miei integratori per approfondire la ricerca. Ho deciso di declinare l’offerta, dal momento che quell’esame sarebbe costato dodicimila euro. Ho deciso di utilizzare i miei soldi per farmi assistere da un avvocato, affinché potesse aiutarmi a far cadere la condanna a quattro anni di squalifica. Sottopormi a quattro anni di squalifica sarebbe significato non poter entrare in una palestra, non potermi allenare e nemmeno vedere una qualsiasi gara all’interno del Coni. Siamo riusciti ad ottenere due anni di squalifica: il giudice ha compreso che in me non c’era nessuna volontà di assumere sostanze illegali”
“La boxe mi ha sempre salvato la vita: in quel momento me la stava distruggendo completamente”
“Ho avuto mesi di depressione totale. Questa esperienza è stata davvero molto forte. Mi hanno revocato il titolo europeo successivo a quello vinto in Francia. Sono stata fortunata perché, nello stesso anno, c’è stato il covid: tutto era chiuso. La mia squalifica è stata scontata in concomitanza con le chiusure”
“Mi sono allenata sotto casa, più di prima: due o tre volte al giorno. Ho trainato anche moltissime persone del mio quartiere e questo mi ha dato ancora più forza. Sono stata una motivatrice in un periodo buio per tutti”
“Mi sono riscoperta. Ho portato a termine dei progetti di grafica e ho conosciuto nuovi lati di me stessa. Questa brutta avventura ha avuto l’unica nota positiva nell’avermi allontanata dalle persone negative che mi stavano intorno solo per interesse. Ho avvicinato a me solo coloro che davvero ci tenevano. Sono riuscita a trarre un grandissimo bene, da questo male. Dopo due anni, nonostante il grande shock, sono tornata. Ne sono estremamente felice”
“Ciò che ho capito da questa esperienza è che manca molta informazione sul tema del doping e questo potrebbe diventare un mio progetto futuro. C’è una lista lunghissima di sostanze dopanti e moltissime persone non ne sono consapevoli, ad esempio anche uno spray nasale prima di una gara conta come doping. In Italia ci sono delle regole ferree, è triste perché in America allo stesso tempo si vede come il doping sia vent’anni avanti all’antidoping, quindi chi ha i soldi e i mezzi per farlo riesce a doparsi e ripulirsi dopo”
“Fra dieci anni mi vedo insegnare boxe ai ragazzini! In realtà in testa ho un progetto che vorrei portare avanti: si tratta del meta pugilato. Consiste nel prendere il pugilato ragionarci su, rendere il proprio corpo un’opera d’arte costruendoci una serie di significati e dando loro un senso profondo in modo da far diventare la boxe da solo sport di combattimento a vera e propria filosofia e stile di vita”
“Se una persona vuole approcciarsi alla boxe ma è un po’ timida, può tranquillamente venire in palestra. Scoprire l’ambiente è fondamentale, perché l’odore della fatica, la magia del ring e dei sacchi si percepisce solo dal vivo. Basta portare un paio di scarpette, un asciugamano e una bottiglia d’acqua e, se la persona vuole, può iniziare a muoversi o se non se la sente può solo assistere ad un allenamento. Una volta che, piano piano, inizia a fare qualcosa capisce subito se è uno sport che le può piacere o meno. È ovvio che le prime settimane ci si senta fuori luogo, ma dopo un po’ l’integrazione avviene anche in maniera naturale e spontanea”
“La boxe non è uno sport oneroso: un paio di guantoni e una cordicella. Per il resto, ci pensa la palestra!”
